The Times
Teatro: A bench on the Road
Lo spirito italiano splende nella terra dove la pioggia non smette mai
di Allan Radcliffe
(Estratti)
Questa nuova ambiziosa opera teatrale, scritta e diretta da Laura Pasetti, è come una boccata d’aria fresca che offre una prospettiva esclusivamente femminile sull’immigrazione italiana in Scozia nel corso di un secolo turbolento. Lo spettacolo, bello e vivace, con luci pittoriche realizzate da Manuel Frenda, unisce musica tradizionale e racconti in prima persona creando un ricco ritratto delle vite di tre generazioni di donne.
Pasetti ha attinto da un archivio di centinaia di registrazioni raccolte dall’Università di Edimburgo come parte del progetto dell’Italo-Scottish Research Cluster.
Sentiamo dell’impatto emotivo del lasciare la propria terra natale per sfuggire all’estrema povertà, e della difficoltà di stabilirsi e adattarsi in un nuovo strano Paese, spesso ostile. Questo sentimento sia familiare è espresso con grande vividezza.
“Qui la pioggia non si ferma mai”, dice una nuova arrivata sulla costa occidentale della Scozia, “Quando smette fuori, mi comincia dentro”.
Questa coproduzione tra Charioteer Theatre e il Piccolo Teatro di Milano, raggiunge il perfetto equilibrio nella sequenza riguardante l’ascesa del Fascismo nel 1920 e le conseguenze per la diaspora degli italiani. Un ansante resoconto del campo della gioventù fascista, in cui il giovane narratore è trasportato dalla causa della “Rivoluzione Fascista”, si contrappone alle difficoltà incontrate dalle donne italiane vissute in Scozia durante la Seconda Guerra Mondiale i cui mariti e figli furono internati e deportati.
Pasetti affronta questo argomento con spiccata leggerezza, disegnando una fine performance per il suo cast e intercalando i passaggi più cupi e tristi con esuberanti momenti di canto e danza, il tutto con il meraviglioso accompagnamento dal vivo della fisarmonica di Caroline Anderson Hussey.
The Fringe Review Scotland 2016
A Bench on the Road
Charioteer Theatre and Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
di Donald Stewart
Le storie di tre donne, una nata a Barga, una a Edimburgo e una a Manchester, unite dall’arrivo in Scozia negli anni ’50 e nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Tenendo a mente le reali problematiche del periodo, in particolare l’ascesa del Duce e l’internamento degli italiani, lo spettacolo segue una narrazione tematica che celebra la forza d’animo e i valori delle donne. In un’opera teatrale del XXI secolo che celebra allo stesso tempo la solidarietà femminile e l’antagonismo nel XX secolo.
Entriamo in sala, sul palco vediamo un quadro, identico a quello che conclude lo spettacolo, in cui 7 donne stanno in piedi bloccate in un’istantanea nel mezzo di una stazione ferroviaria o in un luogo di passaggio. La scena cattura la nostra attenzione mentre prendiamo posto.
Sciolto il quadro 3 donne vestite per la maggior parte di nero si presentano al pubblico come la componente italiana dello spettacolo, le altre 3 donne che sono in piedi e indossano una gonna di tartan diventano la controparte scozzese. La fisarmonicista – che diventa una one women band – fornisce l’accompagnamento musicale alle storie e alle passioni della loro vita. Seguiamo queste donne tra i pregiudizi, l’anelata sicurezza, le speranze riposte in Mussolini, la realtà delle famiglie divise durante la Seconda Guerra Mondiale e infine la gioia nel guardare al futuro con risa e danze che ci riportano al punto in cui tutto è cominciato.
Quest’importante opera teatrale vede 7 donne esibirsi sul palco. Le storie dei personaggi sono basate su testimonianze, raccolte dalla compagnia, di donne realmente esistite e sulle loro reali esperienze. Tutto ciò dona allo spettacolo una grande autenticità e, insieme alla straordinaria performance delle attrici, offre in una serata di intrattenimento che vola veloce, canta e porta quasi il pubblico a ballare tra gli spalti.
Il cast merita un elogio particolare per l’energia trasmessa, altrettanto vale per la regia che predilige le immagini e la fiscalità a supporto del testo.
Il testo, scritto a metà in inglese e in italiano, è meraviglioso.
Mi ha ricordato di come l’italiano, rapido quanto lo Scozzese, suoni sempre come un canto.
L’Italiano non impedisce affatto la comprensione del testo, anzi aggiunge qualcosa al piacere dell’esperienza quando le parole volano dal palco alle orecchie del pubblico.
La scena è spoglia ma le valigie e i numerosi oggetti di scena aggiungono un senso di diaspora al tutto. Si ha come l’impressione di poter vedere i medesimi oggetti attaccati al dorso di un cavallo o posati vicino ad una giostra. Allo stesso modo i costumi dell’inizio del XX secolo danno un senso di privazione che permette alle attrici di costruire i loro personaggi nel contesto.
A Bench on the Road è uno spettacolo di grande intensità e accanto a me tanti altri spettatori ne sono stati testimoni. C’è molto da ammirare: un’opera scritta per donne, una voce che ha da raccontare e che vale la pena ascoltare, e una storia che merita di essere notata. Ma non sono qui per giudicare il valore. Il mio compito è misurarne la teatralità, e da questo punto di vista è un’opera immensamente importante che non bisogna perdere l’occasione di vedere e che spero non venga dimenticata su un polveroso scaffale.